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A cura di Gian Luigi Trucco. La gestione patrimoniale al tempo del new normal “Greed is good”, l’avidità è buona cosa, afferma Gordon Gekko...

A cura di Gian Luigi Trucco.

La gestione patrimoniale al tempo del new normal

“Greed is good”, l’avidità è buona cosa, afferma Gordon Gekko nel celebre film “Wall Street”. Se essa non assume contorni patologici, il giudizio è condivisibile. Il denaro è importante, in barba ad ogni ipocrisia moralistica, e se “riposa e non lavora” tende inesorabilmente a perdere di valore, in termini nominali e comunque in termini reali, perché i grandi distruttori di ricchezza sono sempre in agguato, ad iniziare dall’inflazione e dalla svalutazione monetaria, oltre che dalla pressione fiscale iniqua o eccessiva. Si dirà che l’inflazione oggi è assente, ma un giorno risorgerà e comunque in molti Paesi, Svizzera inclusa, la crescita effettiva del costo della vita è ben superiore a quanto le statistiche ufficiali del conclamato CPI (consumer price index) indicano. In qualche nazione il basket di beni e servizi muta nel tempo – il termine “manipolazione” sarebbe forse più indicato – mentre in altre semplicemente non si considerano fattori che fanno lievitare il costo della vita. In Svizzera, pensiamo solo ai premi delle casse malati, agli affitti, a molte tariffe, tasse e balzelli che il CPI non considera. Più in generale, sia negli Stati Uniti sia in Europa, la repressione finanziaria, sostenuta dalle banche centrali con tassi intorno allo zero o negativi, con le pressioni sul costo del lavoro e le crescenti incertezze, ha non solo impoverito ampie fasce della popolazione ma ha anche colpito pesantemente le istituzioni finanziarie e il mondo del risparmio.
Una ragione di più perché il denaro “lavori bene”, così da mantenere quanto meno il suo valore reale nel tempo e possibilmente accrescerlo. La gestione patrimoniale, scienza o arte che sia, a seconda dei punti di vista, è, ancorchè denigrata da molti, più importante che mai sebbene la sua natura muti nel tempo. Nel mondo di oggi in cui avanza la speculazione “fai da te” del trading online, delle cybercurrencies alle stelle e delle opzioni binarie pubblicizzate come una rapida scorciatoia verso la ricchezza, il ruolo dei professionisti del fund management e dell’asset management è quanto meno quello di sviluppare approcci razionali, meno soggetti a quelle pulsioni emotive ed estemporanee, fatte di eccessi di ottimismo o pessimismo, panico ed euforia smodata, che invece caratterizzano i comportamenti di molti investitori. Che certi eccessi abbiano lambito l’area della finanza professionale non c’è dubbio. Affermare tuttavia che le bolle finanziarie hanno negli operatori i principali colpevoli vuol dire dimenticare il ruolo della domanda, dell’effetto gregario, dell’effetto moda alimentato anche da altre fonti. Non va dimenticato come alla base della “madre di tutte le crisi”, quella dei subprime, vi sia stato un chiaro imput politico venuto da Washington e una pressione sul sistema bancario per consentire l’accesso al credito immobiliare anche a chi non ne aveva i requisiti. Di qua e di là dell’Atlantico le crisi finanziarie nascono sovente da scelte di natura politica, legate a miopia o ricerca esasperata di consenso. Ma questa è un’altra storia.
La gestione patrimoniale di oggi è confrontata con nuove sfide, a partire dalla stessa idea di “portafoglio”. La teoria dei mercati efficienti, architettonicamente e matematicamente perfetta nei suoi equilibri tra rischio sopportabile e rendimento atteso, ha dovuto fare i conti con un succedersi di “cigni neri”, o grigi, poco prevedibili ma dagli effetti nefasti, siano stati essi di natura geopolitica, valutaria, insolvenze, blocchi dei mercati e quant’altro. Lo stesso modo di valutare il rischio può essere messo in discussione. Anzitutto perché misurarlo su base storico-statistico, indicando come più rischioso il prodotto che ha registrato la maggiore oscillazione di prezzo nel passato, è quanto meno limitativo e fuorviante in quanto presuppone che il trend futuro replichi quello passato.
È forse meglio creare nel portafoglio dei “cuscinetti” atti a fronteggiare le eventuali fasi critiche di mercato e soprattutto, nel selezionare gli strumenti da inserire, privilegiare la loro liquidabilità.
Inoltre il concetto di rischio ha subito un vero e proprio ribaltamento anche da un altro punto di vista. Dogmi tradizionali secondo cui l’obbligazionario era nettamente meno rischioso dell’azionario e delle materie prime, avventurarsi su mercati e valute estere alzava il profilo di rischio e  la diversificazione recava comunque ampi benefici, l’oro era ormai da dimenticare come anacronismo del passato,  hanno perso gran parte della loro validità. Nel definire un piano previdenziale, si usava applicare la regola del bilanciamento dinamico, iniziando con un’alta quota azionaria che, con l’avanzare dell’età del cliente, cedeva il posto ad una quota obbligazionaria sempre maggiore, fino ad un portafoglio “full bond” in età più avanzata. Questo sì che è un retaggio del passato, a differenza dell’oro! Oggi, visti i risultati dei programmi pensionistici, spesso i capitali e le rendite a scadenza deludono e ancor più deluderanno domani  le attese, e non vi sono più pingui cedole obbligazionarie con cui integrare la pensione. E qui sta forse il punto di forza essenziale della gestione patrimoniale odierna, in quanto il risparmiatore-investitore può contare sempre di meno sulle soluzioni istituzionali e deve fare affidamento sempre più sul suo portafoglio privato. Ottenere performance adeguate è forse più difficile, ma gli strumenti esistono e, almeno in questo settore, i costi si fanno più interessanti e le opportunità crescono, per capitali di tutti i livelli.
Si discute se l’asset allocation classica conservi la sua validità. Un portafoglio con una quota azionaria ed una obbligazionaria ha ragion d’essere, ma sono le componenti a fare la differenza anche con riguardo alle valute, un elemento spesso trascurato e che invece può fornire un rilevante contributo alla performance. A contare è anche l’approccio dinamico poiché le cose cambiano in fretta e anche le posizioni d’investimento vanno adattate e ribilanciate.
Gestione attiva o passiva? Battere gli indici è difficile e per certi mercati principali strumenti come gli ETF sono efficienti. Ma se guardiamo a settori o ad aree geografiche particolari un fondo con un gestore esperto è senz’altro preferibile.
Fondi tradizionali o alternativi? Strategie più dinamiche ed aperte sono interessanti anche per chi non voglia raggiungere i livelli di leverage o di speculatività degli hedge funds. D’altro canto esistono delle loro versioni meno “aggressive”, ad esempio in forma di SICAV lussemburghesi o di altre giurisdizioni, con strategie absolute return, o, per chi ami la diversificazione ed amplicare la gamma delle opportunità, i fondi multiasset che, sotto un unico tetto, spaziano tra un’ampia gamma di strumenti in grado di affrontare le diverse fasi dei mercati. In definitiva, gli ingredienti e gli utensili per “far lavorare” il risparmio non mancano e l’ingegneria finanziaria ne crea continuamente di nuovi.
Cosa dire di questa industria? Ha commesso alcuni peccati ma ha pagato molto, anche per le colpe degli altri creando tuttavia una grande quantità di ricchezza per i suoi clienti, per se stessa e per i suoi addetti. Basterebbe pensare cosa sarebbe la Svizzera e il nostro Ticino senza banking, finanza, gestori patrimoniali e attività collegate. Oggi, anche a seguito delle nuove normative, i margini diminuiscono e i tassi a zero e negativi non aiutano né i clienti né le istituzioni finanziarie. Per quanto riguarda i trend per la gestione patrimoniale del futuro crescerà il “fai da te” online e all’interno delle istituzioni finanziarie la tecnologia è destinata a trionfare nella connessione e nella proposta di dati e informazioni attraverso i media innovativi mentre operatori e gestori avranno strumenti sempre più sofisticati per analisi e decisioni di investimento. Ci si sposta sempre più da un rapporto di gestione discrezionale verso uno di advisory, di gestione condivisa a quattro mani fra istituzione e cliente. Se poi l’advisor sarà “umano” o robotizzato dipenderà dalle scelte di ciascuna istituzione e dal gradimento della clientela. Il cliente pagherà per servizi con la pretesa che siano di qualità, tempestivi e di facile accesso. Un impatto è destinato a venire dalle normative in termini di reporting, trasparenza e selezione dei prodotti sulla base delle caratteristiche della clientela. Più vincoli, dunque, anche se, giova ricordarlo, più regole non vogliono dire necessariamente più sicurezza e trasparenza. Perché il mercato, al di là di computer, algoritmi e robot, è costituito da esseri umani con i loro sentimenti,  limiti e debolezze.

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