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Il Ritorno del Re Cremisi Il Ritorno del Re Cremisi
King Crimson: La Monarchia Progressiva. A cura di Dario Santini. Progmaniac. C’era una volta un re, detto il “Re Cremisi”. Era un monarca buono,... Il Ritorno del Re Cremisi

King Crimson: La Monarchia Progressiva.

Schermata 2015-01-28 alle 18.50.14A cura di Dario Santini. Progmaniac.

C’era una volta un re, detto il “Re Cremisi”. Era un monarca buono, retto, con grandi ambizioni. Amava i suoi sudditi…a volte. In certi periodi, al contrario, era duro, scostante, tiranno, senza meta e orizzonti di gloria e severissimo col suo popolo.

La gente lo adorava o lo odiava, a seconda dell’alterna e bizzarra indole del “Re Cremisi”. Lui osservava, scrutava, meditava, dettava le leggi e infine decideva le sorti del proprio regno. Doppia anima in una sola mente, in una sola testa, coronata da una sola corona, costruiva, distruggeva e ricostruiva il suo vago e instabile reame innumerevoli volte. Molti sudditi fuggivano ed espatriavano a causa dell’estrema instabilità delle loro esistenze, alcuni restavano “alla corte del Re Cremisi”, fedeli e adoranti per sempre.

Ma fermiamoci un attimo…questa è una fiaba, un fantasy, oppure stiamo scrivendo un pezzo musicale sul gruppo “principe”(permettetemi l’aplomb dinastico) del progressive rock?

Cambiamo epoca e registro. Il 13 gennaio 1969(ma potrebbe essere stato benissimo il 1869, oppure il futuro 2069) “il Chitarrista” Robert Fripp(1946, GB, “la Chitarra”: una Gibson Les Paul, modificata nel tempo con l’aggiunta di distorsori, pedaliere, registratori e infine sintetizzatori) riunisce, al Fulham Palace Cafè, Pete Sinfield(1943, GB, poeta paroliere e “illuminazioni”), Greg Lake(1947, GB, guitar, bass guitar, lead vocals), Ian McDonald(1946, GB, sax, flauto, tastiere, mellotron) e Michael Giles(1942, GB, drums and percussion) e fonda i “King Crimson”.

[captionpix imgsrc=”http://www.fourticino.ch/wp-content/uploads/2015/02/Schermata-2015-02-19-alle-17.37.50.png” captiontext=”Doppia copertina di ‘In the Court of the Crimson King'” width=”500″ height=”270″]

Nel settembre del ’68 era già uscito un disco del trio “Giles, Giles & Fripp (il secondo Giles è il fratello Pete),nome del gruppo confondibile con uno studio notarile, una serie di composizioni di ilare e leggera psichedelia di moda a quei tempi in Inghilterra. Il debutto sul palco del “King Crimson” avviene durante il concerto di Hide Park nel luglio ’69 in memoria dell’appena scomparso “rolling stone” Brian Jones. Dai filmati dell’epoca in bianco e nero, Robert Fripp appare seduto su uno sgabello mentre suona la sua Les Paul, col fare del jazzista anni quaranta, discosto e in posizione marginale rispetto al palco e ai compagni del gruppo, che osserva, scruta e coordina con fare quasi direttoriale(chi vi ricorda?). Un’immagine, questa, che rispecchia l’idea di un Fripp musicista intellettuale e con il concreto obiettivo di rifondare la musica rock su basi strettamente razionali, che si distanzia severamente dalle rock star a lui contemporanee à la Jimi Hendrix o à la Jim Morrison, tutto sesso, droga e rock’n’roll. Negli “scritti frippiani” afferma che “la deliberata dichiarazione da parte mia, nel 1969, che era possibile al rock richiamarsi alla testa oltre che ai piedi causò una sorta d’esplosione passionale e fu considerata eretica” e “suggerii che si poteva essere musicisti rock senza censurare la propria intelligenza”per essere “nel mercato ma non sottoporsi alle regole del mercato”.

Chitarrista con una tecnica sopraffina, ineguagliata e assolutamente personale(stupendi i suoi famosi “glissandi”), Fripp è un innovatore e un inventore di nuove tecniche e metodologie dello strumento a sei corde, le “Frippertronics”, che si allontanano definitamente dal blues, base portante del “vecchio” rock. L’uso del sintetizzatore e l’utilizzazione del “device”,però, non è fine a se stesso, ma atto a migliorare e ad esplorare le possibilità timbriche della chitarra. Il miglioramento tecnologico dello strumento, la “Frippelboard”, abbinato al sistema di registrazione con due “Revox” in “loop” di Brian Eno, che provoca una stratificazione sonora, porterà alla registrazione del bellissimo e innovativo “No pussyfooting” nel 1973. Ma torniamo ai “King Crimson”( alias il “Re Cremisi” Robert Fripp): nell’ottobre del ’69 esce nei negozi “In The Court Of The Crimson King”, buon successo commerciale e capolavoro assoluto del nascente “progressive rock”. Una musica “totale” che lascia a bocca aperta gli ascoltatori(“…ascoltare in modo attivo… richiede attenzione volontaria… sia il suonatore sia l’ascoltatore accettano ciascuno il proprio ruolo, il che non implica alcuna differenza qualitativa tra loro ma soltanto che ciascuno occupa una parte necessaria in uno schema che permette il verificarsi di un’azione…la musica”, cit. da “Scritti frippiani”), perché incorpora al suo interno tutti i generi musicali, o quasi: la classica(Fripp studia i classici contemporanei, Bartòk e Stravinskij), il rock, il jazz, l’avanguardia e l’elettronica. Proprio la scoperta di nuovi “strumenti” elettronici, il moog, il VCS3, il mellotron, sintetizzatori che potevano riprodurre il suono di un’intera orchestra o semplicemente di un solo strumento, amplia e stravolge il concetto di “canzone”( song o ballad che sia), normalmente contenuta nei canonici 2/3 minuti. Le composizioni si allungano anche oltre i 10 minuti, vere e proprie suite fino ad arrivare a complessi poemi sinfonici di 20 minuti e oltre, occupando l’intera facciata di un disco.

Il progetto “King Crimson” può essere considerato (i puristi del “classic rock” non saranno sicuramente d’accordo) uno spartiacque tra la vecchia e la nuova musica del 20° secolo: nulla di questo tipo era stato creato prima di allora e la stampa inglese dell’epoca titolò: “Se Wagner fosse ancora vivo suonerebbe nei King Crimson”. Un moderno progetto multimediale(o meglio multiartistico): il grafico/pittore disegna la copertina del disco( il vecchio e adorato vinile che viene incredibilmente riscoperto dalle nuove generazioni) dopo aver assimilato le liriche del poeta paroliere e ascoltato le tematiche musicali: dure e demoniache, dolci e aggraziate, acustiche ed elettrificate.

Ed è proprio dal genio del Re Cremisi, Robert Fripp, che nasce il capolavoro, il manifesto assoluto della “musica totale” del 20° secolo: l’Urlo dell’Uomo
Schizoide del 21° secolo in copertina(dipinta dal giovane Barry Godber), la nuova concezione musicale del “King Crimson”, la poesia nelle liriche visionarie, distropiche, esoteriche di Pete Sinfield. L’Urlo schizoide spazza via il cielo limpido e azzurro del decennio del “flower power” del movimento hippy e delle “droghe intelligenti”, dei raduni rock oceanici e della contestazione sessantottina, del benessere e della spensieratezza della ormai generalizzata classe media, dei Kennedy e di Martin Luther King. All’orizzonte appaiono i nuvoloni neri dei cupi e difficili anni settanta, portatori della crisi e della riconversione industriale, della disoccupazione operaia, degli anni di piombo delle bande armate rivoluzionarie, della guerra del Kippur, dell’odore acre del napalm, della morte della “triade sacra” del rock: Hendrix, Morrison, Joplin, della crisi economica e ideologica, della crisi petrolifera e dell’austerity: l’inizio della globalizzazione. Ascoltando “In The Court Of The Crimson King”, si avverte subito l’assoluta dicotomia tra la prima epocale composizione, “21th Century Schizoid Man” , devastante e demoniaca( filtrata e cupa l’interpretazione vocale di Greg Lake) e il secondo pezzo “I Talk To The Wind”, tenero, leggero, aggraziato e si percepisce immediatamente la filosofia concettuale del progetto “Re Cremisi” dal 1969 al 2014 (ben 45 anni): “Caos” e ricerca di un “Tutto” armonioso e stabile. Il “Cremisi Re” osserva, scruta il caos e l’armonia, l’illusione e la disillusione, la distropia e l’utopia… A seguire due stupendi poemi: “Epitaph”(“Confusione sarà il mio epitaffio”), uno dei più grandi inni antimilitaristi mai scritti, e “The Court Of The Crimson King”, intervallati dalla dolce melodia del “Moonchild” con un’originale coda minimalista. Alla fine dell’anno, dopo il tour americano escono dal gruppo i fondamentali Ian McDonald(polistrumentista e grande talento compositivo) e Mike Giles ( un batterista dallo stile unico e inconfondibile, da considerare assolutamente nell’olimpo dei grandi dello strumento). Fripp propone addirittura la sua fuoriuscita per mantenere l’organico iniziale alla corte del “Re Cremisi”, ma invano. I due talentuosi musicisti, costituitisi in duo(con il reintegro del fratello Peter Giles al basso), l’anno successivo, faranno uscire lo stupendo “McDonald and Giles” dove l’impeto del tiranno crimsoniano viene addolcito da sublimi armonie simil-beatlesiane. Nella composizione della seconda facciata, “Birdman”(liriche di Pete Sinfield), McDonald, al sax e al flauto, all’organo e alla chitarra, viene sorretto maestosamente dalle incredibili invenzioni ritmiche di Giles. Il rimpianto che gran parte di questi pezzi avrebbero potuto far parte del secondo King Crimson è grande. Ma il 1970 vede anche l’uscita di ben due dischi del Re Cremisi: “In The Wake Of Poseidon” e il superbo “Lizard”(la cui copertina viene definita tra le più belle mai concepite). Gente che esce, gente che entra nel regno cremisi, e sarà sempre così dopo l’uscita di ogni disco, tanto che la parola “split” verrà dalla stampa, d’ora in avanti, sempre abbinata al “King Crimson”. Durante le fasi di registrazione del “Poseidon”, Greg Lake lascia il gruppo per unirsi al super trio “Emerson, Lake and Palmer” e viene sostituito da Gordon Haskell come cantante solista. Entra in pianta stabile Keith Tippett(1947,GB), virtuoso pianista di jazz e rock sperimentale, fondatore della big band Centipete, e il sassofonista e flautista Mel Collins(1947,GB). Fripp domina la situazione rispetto alla coralità del disco d’esordio: attacco al fumicotone con “Pictures Of The City”, seguita dalla bellissima e lineare ballata “Cadence And Cascade”.

L’ispirazione cabarettistica di “Cat Food” sfocia in una “studiata” jam session di jazz sperimentale e infine “The Devil’s Triangle”, una marcia ad libitum con il mellotron in evidenza, ispirata al “Mars” holstiano. Con “Lizard” fanno il loro ingresso alla corte del Re Cremisi tre musicisti del “Centipete” di Tippett: Robin Miller(oboe, corno inglese), Mark Charig(cornetta), Nick Evans(trombone) e alla batteria Andy McCullock.

“Lizard”, il secondo capolavoro dei “King Crimson”, si distanzia dai due dischi precedenti con un maelstrom di stili, dal free-form del jazz progressivo inglese, arricchito dall’innesto dei fiati, agli arrangiamenti spiazzanti con melodie sghembe, classicheggianti e indolenti, fino all’uso del bolero con sciabolate di mellotron e fenomenali “glissandi” frippiani. Fin dall’eccellente “Cirkus” e a seguire il pigro “Indoor Games” e il sarcastico “Happy Family”, l’epico lirismo dei due lp precedenti si trasforma in un insieme instabile ed inquietante, ma alla fine del primo lato ritorna la calma e la dolcezza di “Lady Of The Dancing Water”. La seconda facciata si apre con la pseudo suite “Lizard” con l’iniziale “Prince Rupert Awake”, magistrale e aperta ballata cantata da Jon Anderson, “Voce” degli Yes. “Bolero-The Peacock’s Tale” con il nostalgico avvio dell’oboe che anticipa il complesso e raffinatissimo intreccio dei fiati e infine “The Battle Of Glass Tears”, con un mellotron scoppiettante che gioca intorno agli accordi tetri di Fripp per il finale futurista di “Big Top”.

Nel 1971, l’instabilità è sovrana, come sempre: Fripp ingaggia il batterista Ian Wallace e il cantante Raymond “Boz” Burrell(che si “improvvisa” bassista) per le sedute di registrazione di “Island” e per la prima volta, all’interno del disco, appaiono immagini del gruppo.

Il suono diventa più definito con la conferma di Tippett e della sezione fiati, concrete appaiono le composizioni e più strutturate. Apre le danze “Formentera Lady”, dolce, calda ed epica melodia mediterranea(essenziali le liriche omeriche di Sinfield in tutta l’opera). La chitarra frippiana si erge, subito dopo, con una liricità e una drammaticità inaudite fino al culmine descrittivo supremo della terribile tempesta, con i marosi famelici che inghiottiscono l’imbarcazione del “Marinaio narratore”, destinata ai profondi abissi marini. Poi la calma dopo la tempesta: un mellotron spettrale, maestoso e ondivago, conclude il “Sailor’s Tale”. La commovente e straniante “The Letters”, l’omaggio del Re Cremisi ai Beatles con la sarcastica “Ladies Of The Road” e il preludio per archi e oboe “Song Of The Gulls” introducono la più bella composizione classica di Robert Fripp “Islands”, con Tippett al piano e il finale col mellotron a giostrare con una delicatissima cornetta.

Con “Islands”, un gioiello più unico che raro, e con “Earthbound”, registrato orrendamente dal vivo durante i concerti in America e contenente le versioni live dei singoli “Peoria” e “Groon”, si conclude il periodo King Crimson I°.

Il secondo periodo del regno si apre con l’ennesima rivoluzione(che ossimoro abbinare monarchia e rivoluzione, ma il Re Cremisi è proprio questo in sintesi): il monarca Fripp alla chitarra e al mellotron, il fenomenale Bill Bruford alle pelli, ex Yes, John Wetton, canto e basso, ex Family, David Cross, violino, viola e tastiere e(purtroppo) la “cacciata”, improvvisa e imprevista, del grande poeta, colui che ha creato l’immagine del King Crimson anche prima della costituzione del gruppo, Pete Sinfield.

Ripresosi dallo smacco, uno dei parolieri più importanti del Novecento, farà uscire “Still”, bel disco prog-medioevalista, collaborerà ai testi di ELP e dell’italiana PFM e produrrà il primo “Roxy Music”.

[captionpix imgsrc=”http://www.fourticino.ch/wp-content/uploads/2015/02/Untitled-3.jpg” captiontext=”Il ‘King Crimson II°’ nel 1973″ align=”right” width=”500″ height=”270″]

Nel 1973 Fripp, con il nuovo “Larks’ Tongue In Aspic”(lingue di allodola in gelatina), centralizza e incrementa la funzione della chitarra nell’economia del quartetto; l’incredibile e variegato drumming di Bruford( obbligato a leggere testi ermetici e derivati dal Sufismo, pena il sequestro delle drum sticks) e il basso pulsante e preciso di Wetton creano l’ideale sezione ritmica per il nuovo progetto crimsoniano: un impatto sonoro compatto , granitico, durissimo( l’hard rock viene superato e ci avviciniamo al futuro heavy-progressive), sgusciante in innumerevoli e velocissime scale vorticose, ma sempre sorretto da intuizioni creative, moderne e sperimentali. L’innesto improvviso di Jamie Muir( baffetti e occhi spiritati alla Salvador Dalì) con un incredibile armamentario di diavolerie ritmiche al seguito, compresa una normale sega da falegname da far vibrare con un archetto, porta all’apice l’immane rumorismo, potente ma sapientemente studiato, del collettivo(quattro + uno).

Fin dal “Larks Tongues In Aspic, Part One”, l’attitudine free-form con l’utilizzo dell’improvvisazione viene collegata a una forma di musica “aperta” a riferimenti extra-rock(jazz, elettronica, avanguardia, classica contemporanea) con il concreto risultato della fusione dell’anima volatile, astratta, sconvolgente con l’anima formalmente regolata e lirica del Re Cremisi. La coda del “Larks Part Two”, sempre strumentale e preceduta dal “Talking Drum”, ipnotica progressione ritmica con echi melodici orientaleggianti, viene anticipata dai brani cantati: “Book Of Saturday”, la malinconica “Exiles” e la più dura “Easy Money”.

Al termine delle registrazioni Jamie Muir scompare, si “volatilizza” assieme alle sue assordanti diavolerie (proprio come in una fiaba).Nel 1974 si prosegue sui binari precedenti con “Starless And The Bible Black”: l’impatto è più lucido e immediato(sei degli otto brani sono registrati dal vivo), il quartetto frippiano raggiunge una dimensione astratta e indefinita, lontana dalle vecchie certezze del rock tradizionale e la sua musica viene da allora definita “angosciosa e apocalittica”, non nel senso letterale del termine ma proprio perché inserita nel rock.

Nell’iniziale “The Great Deceiver” appaiono gli unici versi di Fripp, mente eminentemente musicale(“Cigarettes, ice cream, figurines of the Virgin Mary”, ricordi di una visita in Vaticano da lui non gradita), con i glissando delle sue tipiche scale supersoniche. Segue la perla strumentale “We’ll Let You Know” con il basso assassino di Wetton, bissata dallo straordinario e delicato “Trio”. Completano la prima facciata “The Mincer” con Fripp supportato dal mellotron e il suo splendido assolo in “The Night Watch”. Sulla seconda facciata la title track introduce il finale con la larksoniana “Fracture”.

Con “Red” termina il secondo “King Crimson”, il migliore della triade e attribuito al trio Fripp, Wetton, Bruford(tre che suonano per 300), ma con vecchie glorie crimsoniane di contorno. La composizione iniziale “Red” diverrà un classico nei concerti, il pezzo che inquadra il periodo “classico” del gruppo. Anche la melodica e ispirata ai fasti iniziali “Fallen Angel” e la più schizoide e ondulata “One More Nightmare” sono pezzi superiori rispetto alle precedenti due opere del 1973/74. La terrificante improvvisazione di “Providence”(la città natale di Lovecraft)ci introduce nella strabiliante e indimenticabile invenzione melodica della chitarra frippiana contenuta in “Starless” che sale nella tensione del basso sparato di Wetton in una jam session indiavolata con i fiati di Mel Collins e Ian McDonald: il capolavoro nel capolavoro, la massima espressione del King Crimson.

Con “Red” non ancora stampato, Robert Fripp avverte la stampa che i King Crimson hanno “cessato di esistere” e che “il nuovo mondo appartiene a piccole unità mobili, indipendenti e intelligenti…e al posto dei King Crimson una piccola unità mobile, indipendente e intelligente: Robert Fripp”. Risultato: la stizza rabbiosa di Bruford che rimpiange gli ingaggi milionari con gli Yes, la filosofica rassegnazione di Wetton, la costernazione del popolo crimsoniano, le minacce di rappresaglie legali della casa discografica(i problemi legali di Fripp col mondo discografico sono di lunga data e forse terminati di recente). “Fripp split Crimso” titolano i giornali, per l’ennesima volta.

Sull’orlo di una crisi personale, Fripp, dalla fine del ’75 alla metà del ’76, si ritira presso l’International Academy for Cuntinuous Education, fondata J. G. Bennett, discepolo del grande esoterista George I. Gurdjieff.

In quel periodo escono: la propaggine cremisi con il live “USA”, il secondo disco di Fripp con Brian Eno, “Evening Star”, e successivamente, le importanti collaborazioni con Peter Gabriel(Exposure) e con David Bowie(Heroes e Scary Monsters) fino allo splendido e variegato primo disco solista “Exposure”( i pezzi migliori, quelli con la voce “urlata” di Peter Hammill) del 1979. Per la “promozione” di quest’ultimo, il nostro Robert intraprende uno strano tour mondiale in coffee shop, negozi di dischi, uffici discografici e si conclude il programma di lavoro denominato “Drive to 1981”. Nel 1981 nasce il progetto “Incline to 1984”e Fripp comunica agli attoniti dirigenti della E.G. Records: “il prossimo gradino è la disciplina” che “inizia oggi”, e “la terza divisione è ricerca e sviluppo”, “la seconda ti dà da vivere se ti adatti”, “la prima divisione al suo peggio è solo massima penetrazione del mercato”, “al suo meglio significa i migliori musicisti, la crema delle idee nuove”, “un impegno

totale di fede, energia, stile di vita e tempo”. Ed è il via al King Crimson III°(1981/1983), in fretta e furia resuscitato, con una formazione stellare con Adrian Below(Frank Zappa, David Bowie, Talking Heads), il primo chitarrista che “dialoga”(e che “dialoghi”!) con la sei corde frippiana, il ricongiungimento con il fenomeno delle pelli, Bill Bruford e il virtuoso del basso e del Chapman Stick, Tony Levin(Peter Gabriel, David Bowie, Yes), dai passati jazzistici.

L’incredibile affiatamento, oserei dire la fusione, degli stili chitarristici dei due fenomeni e la straordinaria e originale sezione ritmica di Levin e Bruford portano alla creazione di una musica quasi aliena dal progressive originario(siamo entrati negli anni ’80), con una possente spinta circolare e ripetitiva, immersa in arie orientaleggianti e ritmi africani con spruzzate di elettronica e pop stralunato e spiazzante. Nei tre lavori del periodo, “Discipline”, 1981(in evidenza “Elephant Talk” con il “barrito” frippiano e “Matte Kudasai”),”Beat”,1982 e “Three Of A Perfect Pair”,1984, si assiste all’inusuale ribaltamento dei ruoli: le possibilità esecutive di Levin con lo stick gli permettono di agire come elemento armonico seguito a ruota da un onnivoro Bruford, mentre Fripp e Below agiscono ritmicamente sulla chitarre con un effetto veramente originale e innovativo.

Passerà un decennio prima di rivedere sul trono il Re Cremisi con il King Crimson IV°: dopo l’Ep “Vroom”(1994) esce l’album “Thrak”(1995), nel nuovo secolo “The ConstruKtion Of Light”(2000) con l’iniziale “ProzaKs Blues”, esercizio blueseggiante dell’Uomo Schizoide del ventunesimo secolo e “The Power To Believe”(2003), il migliore disco dell’ultimo periodo.

La formazione del ‘95 si è allargata a sestetto(Fripp la definisce un “double trio”):Fripp e Below tessono una tela chitarristica sempre più diretta e dura e, con l’elettronica in primo piano, la sezione ritmica, meno fantasiosa rispetto agli anni ’80, arretra con Trey Gunn allo stick in coppia con Tony Levin al basso elettrico e con il durissimo Pat Mastellotto alla batteria elettronica abbinato a Bill Bruford all’acustica. Dal 2000 si ritorna al quartetto con la fuoriuscita di Levin e l’esclusione di Bruford(un errore affidare le percussioni interamente al “fracassone” Mastellotto) con una matrice sempre più metal. “A Scarcity Of Miracles” del “A King Crimson ProjeKct”(2011) non è altro che una sottomarca del Re Cremisi a nome “Jakszyc, Fripp and Collins with Levin And Harrison”, con un ritorno alle sonorità dei primi ’70.

Giunti alla fine, qual è la morale della favola? Possiamo dare un giudizio sull’operato di un monarca? E sulla gestione del regno? L’istituzione monarchica non può essere discussa a priori (il re viene assimilato a un semidio e nel nostro caso il Re Cremisi corrisponde a Belzebù, ossia colui che osserva), ma in alcune circostanze il re può essere ghigliottinato (Re Luigi XVI°). Il sovrano viene deposto, nel senso di materiale e macabra deposizione della testa, da parte del boia, sul palco dell’esecuzione. Conserva il titolo, ma non ha più un regno, mentre la corona rotola ai piedi di un popolino perversamente soddisfatto. Fortunatamente, per lui e per noi, fedeli crimsoniani, non è il caso di Robert Fripp, che conserva tuttora ben salda la testa che accoglie una mente superiore, sebbene con due anime in perenne contrasto fra loro.

E proprio alla fine di settembre del 2013, Fripp ha annunciato alla stampa l’ennesima reincarnazione del King Crimson con sette musicisti: ben tre batteristi, Gavin Harrison, Bill Rieflin, Pat Mastellotto, al basso Tony Levin, Mel Collins ai fiati, il nostro e Jakko Jakszyk alle chitarre. Il nuovo disco è previsto per la seconda metà di quest’anno e a seguire il tour mondiale. God save the King Crimson. Forever.

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