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Quello che la volpe nasconde Quello che la volpe nasconde
Alla ricerca del simbolo perduto di “Foxtrot” – Parte Prima. A cura di Sebastiano B. Brocchi. Scrittore. Foto in apertura: La doppia copertina esterna di... Quello che la volpe nasconde

Alla ricerca del simbolo perduto di “Foxtrot” – Parte Prima.

A cura di Sebastiano B. Brocchi. Scrittore.

Foto in apertura: La doppia copertina esterna di “Foxtrot”, il capolavoro dei Genesis pubblicato nel 1972.

Ora fate bene attenzione signori! E lo dico come lo direbbe un illusionista che ha bisogno di tutta la concentrazione del pubblico per compiere il suo numero e trasportare gli astanti in un momento di magia. Io non sono un illusionista e non voglio abbindolarvi con alcun trucco, ma come un prestigiatore cercherò di farvi vedere qualcosa che non c’era, o che forse c’era già ma che nessuno riusciva a vedere. Se riuscirò in questo intento, alla fine dello spettacolo mi godrò lo scrosciare della pioggia di applausi; in caso contrario mi farò una ragione dei fischi che avrò meritato. Ma per adesso vi chiedo soltanto una cosa: a me gli occhi!

Vi prego di osservare con attenzione un dipinto di Paul Whitehead, realizzato per la cover del quarto LP (se si considera il vinile con copertina nera “From Genesis to Revelation”, quale disco d’esordio) dei Genesis: “Foxtrot” (1972). Leggere le criptiche rime di Peter Gabriel che compongono i sette atti della suite “Supper’s Ready” (che occupa con ben 22:58 min. l’intero lato B del disco) potrà aiutarvi solo fino a un certo punto per comprendere i soggetti della cover. Perché questa costituisce un mistero a sé stante, un enigma nell’enigma, che amplia e approfondisce l’abisso costituito dalla canzone.

L’affermazione più immediata (ma altrettanto povera di significato) che si possa fare, è che questa cover rappresenti una scena di caccia alla volpe, attività molto in voga presso la nobiltà inglese e altrettanto criticata dagli ambientalisti, tanto da essere stata vietata nel 2006 (con una legge che, tuttavia, si opporrebbe più al massacro del povero animale che alla caccia vera e propria). La battuta di caccia in questione, però, non si svolge nei boschi di una tenuta di campagna, bensì sulla spiaggia – inquinata – di un territorio piuttosto brullo e desolato. I quattro principali “cacciatori” hanno un aspetto del tutto singolare: il primo da sinistra, attorniato dalla muta di cani, indossa ghette e giarrettiera, oltre a vantare un naso alla Cyrano tendente al pinocchiesco. Il secondo ha un vistoso bernoccolo (o spallina decisamente troppo imbottita?) sulla spalla destra, e si sta asciugando le lacrime con un fazzoletto. Il terzo, dalla testa raggiante come un piccolo sole, ha uno strano volto scimmiesco e grandi orecchie appuntite, barba, occhi scuri se non addirittura occhiali da sole. Il quarto (che cavalca un destriero ardentemente desideroso di accoppiarsi, sebbene questo sia un dettaglio cui pochissimi fanno caso) sembrerebbe un alieno dalla pelle verde. Dietro questi quattro, altri tre cavalieri, più in lontananza, sembrano in procinto di raggiungere i primi sulla riva. Dalle inquinate acque marine spuntano una trota iridata, un delfino, una mazza da croquet, un rametto o piuttosto un’alga, un sommergibile, e soprattutto la preda della battuta di caccia, che ci scruta maliziosa: la volpe. Ma non una volpe qualunque: una donna dalla veste scarlatta, con testa di volpe. La donna-volpe vestita di rosso sta in piedi su una tavola argentea di forma circolare. La definisco così, e non “lastra di ghiaccio” come potrebbe sembrare, per motivi che capirete più avanti.

Oltre alla battuta di caccia, sulla spiaggia ha luogo una processione, in cui si vedono sette uomini vestiti di bianco e incappucciati, uno dei quali regge una croce. Vediamo anche una partita di croquet, ispirata alla cover del precedente album dei Genesis, “Nursery Cryme” del ’71, anch’essa firmata da Paul Whitehead. Un ciclista barcollante e altri personaggi troppo piccoli per essere identificati. E sullo sfondo un grande edificio (che Whitehead definisce hotel) dalle candide pareti.

Tutto questo dovrebbe ispirarsi, come detto, alla suite “Supper’s Ready”. Ma quanto c’è davvero di quella canzone nella cover? Praticamente solo due elementi: il primo sono i sette uomini della processione sulla spiaggia, in riferimento al verso “Six saintly shrouded men move across the lawn slowly. The seventh walks in front with a cross held high in hand”. Il secondo, meno evidente, sarebbero i quattro cavalieri, ispirati ai quattro cavalieri dell’Apocalisse, in riferimento all’ultimo atto della suite intitolato “Apocalypse In 9/8”. Eventualmente potremmo annoverare anche la volpe, come richiamo al verso “Open your eyes, it’s full of surprise, everyone lies, like the fox on the rocks”.

Le poche e lacunose spiegazioni “ufficiali” rilasciate da Whitehead sul significato dei diversi elementi non fanno molta luce sul mistero della cover, ma sono interessanti almeno su un punto: l’artista dichiara di aver sviluppato i temi del dipinto in accordo con i Genesis, a seguito di diverse sedute che definisce di “brainstorming” (tecnica di creatività di gruppo in cui ognuno è libero di sottoporre le proprie idee al vaglio degli altri). “Niente veniva escluso finché non arrivavamo a un concetto che per tutti aveva senso. Una volta stabilito il concetto, io me ne andavo e realizzavo il disegno”. Non si tratta perciò del frutto della creatività incondizionata di Whitehead, ma di una costruzione concettuale elaborata, basata in gran parte sulle idee espresse in sede privata dai membri della band, e possiamo supporre da Peter Gabriel (l’autore dei testi) in particolare.

Ad un’esperienza quasi “mistica” di quest’ultimo si riferirebbero ad esempio i sette uomini “vestiti da santi” che passano in processione portando la croce. Ecco come Gabriel riferisce la sua visione: “Accadde una notte nella casa dei genitori di Jill a Kensington, quando tutti erano andati a letto… avevamo appena parlato con John… c’era questa strana stanza nella casa di Kensington… Lì non riuscivo mai a dormirci. (…) Era notte inoltrata, eravamo stanchi, ecc…, così era abbastanza facile per noi avere allucinazioni o qualcosa di simile… Non avevamo bevuto e non avevamo assunto droghe (…). Improvvisamente fui consapevole che l’atmosfera dell’intera stanza era cambiata, Jill era entrata in una sorta di trance. Improvvisamente la finestra si spalancò, seguita da un freddo estremo, seguita da questo fenomeno psichico (…). Vedemmo delle altre facce in ciascuno di noi; in realtà io ero molto spaventato. Era quasi come se qualcos’altro fosse venuto dentro di noi e ci stesse usando come un punto d’incontro. (…) Ebbi l’impressione di aver visto delle figure all’esterno, figure in bianchi mantelli, e il prato su cui li vidi non era il prato che c’era lì fuori”. Questa stessa esperienza paranormale sarebbe uno dei fattori scatenanti che avrebbero indotto Peter Gabriel a scrivere “Supper’s Ready”, che a detta dell’autore sarebbe una canzone incentrata sulla lotta tra il bene e il male.

Avrete notato il mio frequente ricorso al condizionale: con ciò non intendo mettere in dubbio le parole degli autori della suite-canzone e della cover dell’album, bensì sottolineare come tali dichiarazioni non vadano intese, a mio modo di vedere, come spiegazioni esclusive e limitative. C’è dell’altro, c’è sicuramente molto altro, di non detto, di non scritto, ma lasciato alla perspicacia di chi si desse la pena di considerare con un’attenzione più profonda l’intero mosaico di simboli e significati messi in gioco. Ricordate? Vi ho detto di volervi mostrare qualcosa che non c’è, o che forse c’era già senza che qualcuno fosse in grado di vederlo. È tempo di scoprire le mie carte: ciò che farò magicamente apparire è un calice. Voi vi starete chiedendo quale calice?, e io vi risponderò: il più sacro di tutti i calici…

Ma andiamo per gradi. C’è una cosa in questa suite-canzone che, chissà perché, mi ha fatto subito pensare alle leggende arturiane sul Sacro Graal, ed è la processione degli uomini comparsi dal nulla, fulcro della visione di Gabriel. Di processioni ce ne sono tante e di tanti tipi, mi direte. È vero. Non so dire di preciso perché quegli uomini “vestiti da santi” mi abbiano fatto pensare proprio ai valletti angelici e alle pulzelle che, nel castello del Graal, attraversavano la sala dei banchetti reggendo ceri e sante reliquie come appunto il Graal velato, la lancia insanguinata (nella quale alcuni riconoscono la celebre lancia di Longino) o la spada spezzata; per poi scomparire nel nulla così com’erano venuti. Sarà che anche qui, nei versi di Peter Gabriel, si parla di un banchetto: “Supper’s Ready”, la cena è pronta. Ma di questa fantomatica cena, la canzone come la cover, non ci mostrano nulla. Sappiamo solo che una certa cena è pronta, con probabile allusione a quella di “Apocalisse” 19,9: “Allora l’angelo mi disse: «Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!»”. L’Agnello è Gesù Cristo, mentre la sposa pronta per le nozze sarebbe la Chiesa intesa come comunità dei fedeli (ma come vedremo, la risposta potrebbe anche essere diversa…).

A parte questi due elementi, ovvero una processione mistica in occasione di una cena annunciata, non c’è nulla che leghi “Supper’s Ready” alla storia del Graal. Non c’è nulla. È di questo che ho provato a convincermi, scacciando come una zanzara quell’idea un po’ folle. Eppure lo sapete bene, certe zanzare sono tenaci, e continuano ad assillarti malgrado gli sforzi profusi per allontanarle. Non c’era davvero nulla che legasse “Foxtrot” al sacro calice?

È vero, il calice è assente dalla cover e dal testo della suite, ma come dimenticare che fosse anche assente in molti celebri dipinti dedicati all’Ultima Cena, uno su tutti quello di Leonardo da Vinci? In molti hanno ipotizzato che Leonardo avesse voluto rendere presente il calice in altra forma. Alcuni sostengono, ad esempio, che il Graal fosse presente idealmente nello spazio vuoto triangolare tra Gesù e San Giovanni (un San Giovanni in cui, a onor del vero, più d’uno vorrebbe riconoscere Maria Maddalena, l’ipotetica sposa “terrena” di Cristo); altri ancora fanno notare che sovrapponendo all’Ultima Cena un’Ultima Cena capovolta in senso orizzontale, verrebbe a crearsi l’immagine di una coppa al centro del dipinto. Se fosse lo stesso per Peter Gabriel? Se anche il paroliere dei Genesis e il visionario illustratore delle loro cover avessero in qualche modo voluto nascondere il Graal in qualcosa di diverso?

Prendiamo i quattro cavalieri sulla spiaggia. In realtà non c’è praticamente nulla che li leghi ai quattro Cavalieri dell’Apocalisse. Anzi, c’è una dichiarazione piuttosto strana rilasciata da Paul Whithead in un’intervista riguardo al secondo cavaliere: “La morte cavalca un cavallo bianco – noterete che il personaggio sul cavallo bianco sta piangendo – e ha anche un’enorme gobba sulla spalla”. Chi andasse a controllare il testo di “Apocalisse”, tuttavia, noterebbe che la morte non monta un cavallo bianco, bensì verde! “Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra” (6, 7-8). Mentre bianco è il destriero del primo cavaliere, senza nome. E comunque, che motivo avrebbe il cavaliere Morte di piangere, quando gli viene dato un così grande potere? E soprattutto, perché dovrebbe rattristarsi di più degli altri tre cavalieri, ognuno dei quali compare per portare devastazione e lutti?

Solo una svista, quella di Whitehead, o una dichiarazione volutamente fuorviante? Se i quattro cavalieri si riferissero invece ai cavalieri del Graal, giunti al castello del Re Pescatore per portare a termine la loro quête? Primo indizio: il moderno hotel collocato sullo sfondo nella cover di “Foxtrot”, in altre due versioni della stessa cover elaborate da Whitehead è invece un castello medievale. Secondo indizio: il castello del Re Pescatore si sarebbe trovato in una terra desertica e devastata, chiamata Waste Land, la “Terra Desolata” o “Terre Gaste”; proprio come l’hotel-castello di “Foxtrot”, che sorge tra lande brulle e sabbiose e un mare inquinato e malsano. Terzo indizio: il pesce che emerge dall’acqua in primo piano, possibile riferimento al Re Pescatore. Quarto indizio: Whitehead afferma che la presenza del sommergibile nella cover sia riferita alla presenza della marina americana poco lontano dalle coste delle Scozia negli anni in cui l’album dei Genesis vide la luce; ma, guarda caso, i cavalieri del Graal giunsero al castello del Re Pescatore su un’imbarcazione senza vele e senza remi. Quinto indizio: i quattro cavalieri. Vi sono diverse versioni sull’identità dei cavalieri che portarono a buon fine la ricerca del Graal, ma in genere si tratta di Lancelot (Lancillotto), Perceval, Galaad e Bohor, o in altri casi Gawain (Galvano). Ora, noterete che tra i quattro cavalieri di Whitehead, uno soltanto ha gli occhi fissi sulla volpe – ovvero sul fine ultimo della battuta di caccia – ed è il terzo cavaliere, quello luminoso. Difatti, dei cavalieri che si trovarono di fronte il Sacro Graal, soltanto Galaad, il predestinato, poté osservare al suo interno e conoscerne il mistero. Il secondo cavaliere, quello su un cavallo bianco, potrebbe invece corrispondere a Lancelot, il quale, dei quattro, fu l’unico a non essere ammesso alla cena del Re Pescatore poiché macchiatosi di troppi peccati (in particolare l’aver anteposto l’amore profano per Ginevra all’amore mistico). Ha fallito pur essendo arrivato letteralmente a un passo dal Graal, per questo è giustamente, comprensibilmente, addolorato e in lacrime! E il bernoccolo sulla spalla? Mi chiedo se non abbia a che fare con ciò che accadde a Lancelot all’ingresso del castello del Graal: “Lancillotto vide bene che la porta della fortezza era aperta; ma s’accorse che era guardata da due leoni e sguainò la spada per combatterli. Subito apparve una mano fiammeggiante, che lo colpì rudemente al braccio” (Chretien de Troyes).

Che dire del quarto cavaliere, l’omino verde alieno che guarda imbambolato alla propria destra? Sappiamo che Gawain, nel ciclo arturiano, era anche noto come “il Cavaliere Verde”. Inoltre, e questa è una sciocca curiosità linguistica ma mi sembrava un peccato non farvela notare, il termine inglese per “fissare” o “guardare imbambolati” è gawp, che unito ad alien (alieno) sembra alludere foneticamente al nome del nostro eroe (Gawp-alien, Gawain).

Chi conosce la storia di Perceval, infine, sa che per il giovane Gallese entrare nella cavalleria fosse una vocazione “viscerale” nata in lui quando incontrò, nel bosco, dei cavalieri di re Artù, e per la quale fu disposto a lasciare tutto. Ora, abbiamo detto che il primo “cacciatore di volpe” di Whitehead indossa una giarrettiera: che si tratti di un’allusione ad uno dei più nobili e antichi ordini di cavalleria britannica, il famoso Ordine della Giarrettiera? Inoltre, quando Perceval vide i cavalieri rivestiti dalle loro splendenti armature, chiese loro molto ingenuamente: “Fustes vos ensi nez?” (Siete nati così?). Avrete notato, però, che in questo francese arcaico, Perceval usa la parola “nez” (naso) anziché “nés” (nati), così che, in una moderna traduzione letterale, il suo quesito suonerebbe come “Siete così nasi?”. Un simpatico nonsense, che però, guarda caso, sembra trovare una sua ragion d’essere nel cavaliere “nasuto” di Whitehead!

Ma arriviamo al vero fulcro della composizione…

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