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Glam Rock: occhi “diversi” Glam Rock: occhi “diversi”
L’adolescente entra nel negozio di dischi e chiede “Ziggy Stardust” di David Bowie e “Transformer” di Lou Reed. Lascia la paghetta domenicale sul bancone,... Glam Rock: occhi “diversi”

L’adolescente entra nel negozio di dischi e chiede “Ziggy Stardust” di David Bowie e “Transformer” di Lou Reed. Lascia la paghetta domenicale sul bancone, riceve la busta con i due “tesori” ed esce accompagnato dall’aria di compatimento dello spacciatore di vinili hendrixiano.

Schermata 2015-01-28 alle 18.50.14A cura di Dario Santini. Glamer.

(immagine in apertura: la cover dell’album di David Bowie “The Rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”)

La truccatrice stende abbondantemente l’ombretto nero e spalma il fard tendente al ruggine, mentre la star seduta, studia “la parte”. La aiuta ad indossare il mini-kimono in raso (kimono my house), gli stivaloni appena sopra il ginocchio con la zeppa gommata e infine la vede salire sul palco, salutata dagli idolatranti urli dei fans.

Ad ogni intervallo la vede tornare nel camerino, la aiuta a svestirsi e a rivestirsi, di volta in volta, prima con una giacca con spalle ad aletta, poi con una tutina attillata asimmetrica in maglina con la stola a boa di piume, e infine con un mantello kimono con i tipici ideogrammi giapponesi.

Sul palco la star, capelli carota, stivaletti stringati, inginocchiato, abbraccia in maniera oscena il suo chitarrista, bolerino e fuseau laminati effetto pirata. Il concerto si chiude in un tripudio di adolescenti osannanti. Eravamo testimoni dal back-stage di uno dei più recenti concerti di Lady Gaga? Tutt’altro. Stiamo parlando di uno degli avvenimenti più importanti nella storia del rock, risalente a circa quarant’anni fa’: il concerto di David Bowie del 3 luglio 1973 all’Hammersmith Odeon di Londra, bissato poi il giorno successivo, durante il quale dichiara, di fronte ai fans increduli, l’addio al suo alterego: Ziggy Stardust (traccia 19, Farewell Speech, contenuta nel dvd allegato al cofanetto con due cd “Best of Bowie-Ziggy Stardust and The Spiders from Mars-The Motion Pictures”). L’ “Attore” cala la “Maschera” sul palco e non dopo, nel camerino.

Ma partiamo dall’inizio: David Robert Jones (8.1.1947) vive la sua infanzia nei sobborghi di Londra, studia alla Technical High School per ottenere il diploma di grafico pubblicitario. Durante una scazzottata fra studenti, subisce una lesione permanente all’occhio sinistro, con conseguente arrossamento e dilatazione della pupilla, che si rivelerà a posteriori il suo “marchio di fabbrica”, durante tutta la sua carriera.

Nel 1968 studia mimica nella compagnia di Lindsey Kemp, dalla cui esperienza verrà prodotto il film “Love you Till Tuesday”, esperienza underground multimediale. Dopo alcuni dischi con la Deram, David Bowie incontra Tony Visconti, produttore di Marc Bolan, e con lui incide “Space Oddity”, primo suo grande successo con il singolo omonimo, ispirato al film di Stanley Kubrick “Space Odyssey”. Nel 1971 con “The Man who Sold the World” appare in copertina abbigliato da donna e languidamente sdraiato a la Laureen Bacall, provocando la censura e sostituzione della stessa negli Stati Uniti;segue “Hunky Dory”, con il nostro questa volta atteggiato a Greta Garbo e le hits “Changes” e “Life on Mars”. Intanto, sempre sotto l’attenta e proficua regia di Tony Visconti, si sta formando l’ossatura del quartetto principe del Glam: David Bowie (vocal, guitars, saxophone), Mick Ronson (guitars, piano, vocal), Trevor Bolder (bass), Mick Woodmansey (drums).

Nel 1972, David Bowie crea una incredibile operazione di marketing e allo stesso tempo artistica: la creazione del personaggio di Ziggy Stardust, nuova personificazione del warholiano “quarto d’ora di celebrita”. L’ascesa e la caduta di un essere mezzo alieno, mezza drag-queen, dai capelli verde arancio, che scende in tournee sulla terra a capo degli Spiders from Mars, con il disco più significativo dell’epopea glam: “David Bowie-The Rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”. Tra i solchi del vinile il glam di Bowie vede “diversamente” l’edonismo futile e sfrenato, la vanità del divismo, la decadenza mitteleuropea dell’inizio del secolo scorso, le cupe ossessioni orwelliane (all’inizio, con “Five Years”).

Nell’alternanza tipica dell’art-rock, ballate melodiche (Lady Stardust, Soul Love, Moonage Daydream) si susseguono a pezzi tirati proto-punk(Hang to Yourself, Suffraggette City), nei quali Mick Ronson sfodera le sue grandi doti di chitarrista eclettico. Nel disco e sul palco, clima parigino anni ‘50, sigaretta in bocca alla Edith Piaf, Bowie chiude con “Rock&Roll Suicide”, mesta metafora del destino che accomuna la gente comune alle rockstar. Alla fine si immedesima a tal punto nel suo alterego, da immolarlo sul palco, e renderlo così immortale.Schermata 2015-01-28 alle 19.03.38

Nel frattempo, Bowie, tra un tour e l’altro, accudisce il figlio Duncan Jones, avuto dalla prima moglie;legge con lui Orwell, Philip K. Dick, James Ballard, William Gibson: tutte preziose fonti di ispirazione per la futura carriera del piccolo, ora affermato regista cinematografico di science-fiction (“Moon”, l’attualissimo “Source Code”). Lo stesso Bowie, in veste di ottimo attore, sarà il protagonista nel film “L’uomo che cadde sulla terra “(1976) di Nicolas Roeg e in “Furyo-Merry Christmas Mr. Lawrence” (1983) di Nagisa Oshima (entrambi disponibili in dvd). L’attore cala la maschera di Ziggy sul palco e subito dopo ne raccoglie un’altra: Aladdin Sane (oppure “A Ladd Insane”: “doppio” gioco di parole); saetta rosso-blu che taglia trasversalmente l’intero viso, il nuovo alieno asessuato atterra questa volta nell’emisfero americano piu’che in quello albionico. In “Aladdin Sane” (1973) prende il sopravvento l’anima prettamente rock& roll e anche le liriche indagano, sempre sotto una lente bifocale, la realta’dell’altra parte dell’atlantico (Drive in Saturday, Watch that Man, Jean Genie: quest’ultimo dedicato a Jean Genet), con un vulcanico Mick Ronson, sempre piu’in evidenza alla chitarra. Qui le ballate da cabaret brechtiano (Time, Lady Grinning Soul) vengono sottolineate dall’ottimo piano classico-jazzato di Mike Garson. Con questo disco Bowie traccia il crepuscolo del glam: la sua personalità multiforme lo portera ad altri ed eccellenti traguardi: il periodo americano, l’eroica stagione berlinese con Brian Eno e Iggy Pop, fino agli ultimi dischi del decennio “0”, con una parziale ripresa delle tematiche glam: la quadratura perfetta del cerchio. Uomo o donna, umano od alieno, essere o non essere, questo è o non è Bowie: un “fenomeno” assolutamente non riducibile all’epopea glam.

Diventa lui stesso produttore di Lou Reed, che esule dalla gloriosa esperienza nei Velvet Underground, storico accompagnamento sonoro nella Factory di Andy Warhol, porta alle stampe “Transformer”. La copertina del disco, con il marinaio e la “signora” in attesa, rimanda al “Querelle de Brest” di Jean Genet e alla riduzione cinematografica di Rainer Werner Fassbinder, mentre il vinile lancia il primo hit della carriera di Reed:” Walk on the Wild Side”, cronaca poetica di un viaggio attraverso il lato oscuro dell’esistenza, e con “Vicious”, Bowie, sempre alla regia, stempera le acidità velvetiane di Lou in un glam di maniera ma efficace per le classifiche.

Nel luglio 1972, Bowie promuove e produce anche “All the Young Dudes”, il disco che porta al successo i Mott the Hoople, amici di lunga data, regalando a Ian Hunter, leader della band, il singolo omonimo, manifesto di tutto il movimento glam. Ma il meglio viene offerto soprattutto dal vivo, con splendidi concerti su entrambe le sponde dell’atlantico, decretando un successo insperato ad un gruppo in precedenza quasi sconosciuto (ottimo documento sonoro il doppio cd “Mott the Hoople live-30th anniversary edition”). Hunter proseguirà, verso la fine degli anni ‘70 la carriera solista con ottimi dischi in compagnia dello “spideriano” Mick Ronson.

 

Il produttore Tony Visconti accomuna Bowie ad un altro grande esponente del glam-rock: Marc Bolan (1947-1977, GB). Inizialmente indirizzato verso un folk-rock visionario e tardo-hippy, sotto il nome di Tyrannosaurus Rex, dietro consiglio di Visconti, Bolan cambia la denominazione in T. Rex e, con l’innesto di Steve Currie e di Micky Finn ottiene il primo grande successo con “Ride a White Swan”, pezzo che inaugura la stagione del glam-rock. Dal 1971 Marc Bolan porta ai primi posti delle classifiche gli album “Electric Warrior”, “Bolan Boogie” e “Slider” e innumerevoli singoli, tra i quali “Hot Love”, “Get it On”, “Telegram Sam”, “Jeepster” e “Children of the Revolution”, arrivando a rivaleggiare in popolarità con i favolosi Beatles. Il 16 settembre 1977, dopo l’uscita di “Dandy in the Underworld”, rientrando alla sua magione nella campagna inglese, con alla guida della spider la moglie di colore Gloria Jones, sua ex corista, Marc Bolan perde la vita in uno schianto contro degli alberi, in un terribile finale ballardiano. L’ultimo volo del cigno bianco, citando il suo primo hit. Ogni decade successiva rinverdirà i fasti di questo grande artista, che lascia un’impronta imperitura nel firmamento del glam.

Un giro di pista e passiamo ad un omaccione corpulento inguainato in una tutina futurista metallizzata, ma d’altronde a quei tempi era d’obbligo l’abito di scena: Gary Glitter (8.5.44), identificazione dell’ennesima fucina di 45 giri ai primi posti delle charts. Sorvolando sulle turbolente vicissitudini private, il nostro apporta, dal punto di vista tecnico, l’innovazione della doppia batteria pulsante nel giro di basso in pezzi roboati, tra i quali spiccano dal 1972 in avanti: “Rock&Roll Part 1”, “Rock On”, “Do you Wanna Touch Me? (oh Yeah)”, “Hello! Hello! I’m Back Again” e la celeberrima” I’m the Leader of the Gang (I am).

Un altro giro di lustrini, paillettes, stivaloni tacco alto, e passiamo ai “Sweet” e agli “Slade”. Gli “Sweet” della coppia Brian Connolly (1948) e Mick Tucker (1948) sfornano tra il 1971 e il 1973 (autori-produttori Chinn/Chapman) hits da classifica quali: “Funny Funny”, “Poppa Joe”, ”Wig Wam Bam”, “Blockbuster” e “Hellraiser”. Le tematiche molto spinte a livello sessua-le dei loro pezzi li allontanano dalle apparizioni radiofoniche e televisive, incrementando all’opposto l’audience tra i giovani. Dopo “Fox on the Run”, a partire dalla seconda meta’degli anni ‘70, si orientano verso un ottimo hard-glam, anticipando le sonorità heavy-glam degli americani “Twisted Sister”.

Sempre nei primi ‘70, gli “Slade”, prodotti da Chas Chandler, scopritore di Jimi Hendrix, raggiungono un breve ma incredibile successo e i primi posti delle classifiche con “Get Down and Get with it”, “Cos I Love You”, “Take me Bak ‘Ome”, “Cum on Feel the Noise” e “Skweeze Me Pleeze Me”. Si avverte da questi titoli e nelle liriche l’adattamento allo slang della “working class” inglese, adattamento corroborato dall’abbigliamento sul palco: scarponi da carpentiere, jeans logori e bretelle ascellari. Anche gli “Slade”, alla fine del decennio si orienteranno verso sonorità sempre più hard, fino a rasentare tonalità heavy-metal con discreto soccesso.

I genialoidi fratelli Ron (1948, USA) e Russell Mael (1953, USA) rappresentano un caso atipico nella variegata storia del glitter-rock inglese. Provenienti dalla west cost losangelina, si trasferiscono in Inghilterra, dove, nel 1974, incidono “Kimono my House” e salgono subito al secondo posto delle charts con “This Town Ain’t Big Enough for Both of Us”. L’effetto coreografico del duo è ridicolarmente straniante: la gag raffigura il marziale Ron alle tastiere, capelli corti impomatati e baffetti hitleriani, atteggiamento tra il grottesco e il perverso, mentre Russell, chioma abbondante fa da contrappeso con acuti strazianti da farsetto operistico, sculettando su e giù per il palco. “Kimono my House”, con in copertina due improbabili e stralunate geishe, storpia il titolo di una canzone del 1951, “Come on-a My House” di Rosemary Clooney, zia del divo George. Il disco è un inedito e originale miscuglio di art-rock alla Roxy Music, le marcette delle avanguardie europee primo novecento, l’operetta e il musical americano. In “Amateur Hour” o in “Falling in Love with Myself Again” i riff affilati e sintetici della chitarra di Adman Fisher tagliano le architetture sonore di Ron Mael, sdoppiandosi negli acuti ipernevrotici di Russel: il glam si schianta contro una nutrita miscellanea di stili retrò. Seguiranno, nei tre anni seguenti: “Propaganda”, “Indiscreet” e “Big Beat”, per poi passare nei dischi successivi alla new wave danzereccia, collaborando con Giorgio Moroder.

Suzi Quatro (3.6.1950) da Detroit, scala le classifiche europee nel 1973 con la travolgente “Can the Can” (Chinn/Chapman) e successivamente con “48 Crash”, “Daytona Demon”, “Too Big” e “The Wild One”. Apparirà, imbracciando il suo basso sul palco, in alcune puntate della fortunata serie televisiva “Happy Days” e con la cover di “All Shook Up”, riceverà i complimenti del suo idolo, Elvis Presley.

Dalla Grande Mela, i “New York Dolls” con l’album omonimo d’esordio nel 1973, diffondono un’immagine trasgressiva e oltraggiosa, travestendosi da lacere Marilyn Monroe da strada e, a livello sonoro, un robuto power-glam, antesignano del punk. “Personality Crisis”, cantata da David Johansen, rappresenta uno dei brani più significativi del rock maledetto anni ‘70.

Agli inizi degli anni ‘90 vengono rinverditi i fasti dell’epopea glam dagli Suede, gruppo costituito da Brett Anderson, con attitudine prettamente bowiana, Bernard Butler, ottimo chitarrista di matrice smithsiana, Matt Osman al basso e Simon Gilbert alle percussioni. “Suede”, al debutto, ottiene subito il disco d’oro, segue nel 1994 “Dog Man Star” e con “Coming Up”(sostituito Butler con il giovanissimo e talentuoso chitarrista Richard Oakes) i Suede raggiungono i vertici della popolarità, piazzando contemporaneamente nei primi posti una mezza dozzina di singoli: “Trash”, “Filmstar”, “Lazy”, “She” e “Beautiful Ones”. Tutta la discografia degli Suede è da poco disponibile in edizione “deluxe re-issue edition”. Pubblicato dalla Edsel, ogni cofanetto contiene due cd e un dvd. Brett Anderson ha appena pubblicato da solista “Black Rainbows” e agli inizi del 2012 è previsto il nuovo disco degli Suede. Giunti al termine della galleria dei mostri (sacri) del glam-rock, vi svelo il segreto contenuto nel sottotitolo: l’adolescente agli inizi dei ‘70 ero io ed ora posso anche vantarmi di essere stato un glammer fin dalla prima ora.

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